After Love

Regia di Aleem Khan

il cinematografo

Il Punto Di Svista Del Cinefilo

After love – il primo lungometraggio del regista Aleem Khan – riesce a descrivere in maniera indicibilmente profonda l’incontro fra due universi femminili all’apparenza antitetici, i quali, nel momento in cui si intersecano, rivelano ineludibili somiglianze. Il tema del lutto e della perdita, e il percorso di crescita ad esso associato, fanno da sfondo ad elementi quali il pregiudizio e l’apparenza, la formazione dell’identità culturale e sociale, e l’inestinguibile potenza della femminilità, che emerge soprattutto in assenza della controparte maschile. L’intensità espressiva delle protagoniste dirige l’opera in maniera assoluta, pesando quasi più delle parole pronunciate: sentimenti semplici e fondamentali vengono spesso trasmessi attraverso gli occhi, i quali catturano l’empatia dello spettatore. Mary, donna inglese sulla sessantina, perde improvvisamente il marito Ahmed, di origine pachistana, grazie al quale da anni si è convertita all’Islam abbracciandone valori e pratiche (la preghiera, le usanze, l’abbigliamento). Il film si apre proprio con la scena della morte di Ahmed, avvenuta in un momento di condivisione della coppia, intriso di quotidianità. Si tratta dell’unica manciata di istanti in cui lo spettatore riesce a catturare qualche elemento diretto della personalità di Ahmed, la quale viene poi lentamente e tortuosamente ricostruita attraverso la sua assenza. Quello che trapela da questi pochi secondi iniziali è l’indubbio affetto reciproco dei due. Ma subito dopo la sua scomparsa, Mary scopre inaspettatamente che il marito aveva una seconda vita a Calais, al di là della Manica, a pochi chilometri di distanza; il fatto avviene quasi per caso, Mary si ritrova con il telefono del marito tra le mani e ne esplora i contenuti non perché voglia farlo, ma quasi per inerzia. La sua incredulità riesce ad invadere completamente anche lo spettatore. La decisione di Mary di scoprire la metà a lei celata di Ahmed è repentina, e segna il vero inizio del film. Il punto di vista è quello di Mary, è di lei che lo spettatore percepisce fin da subito il dolore, la sorpresa e la volontà di rimuovere il velo di Maya, nonostante questo influisca sul ricordo di Ahmed e sull’azione stessa del piangerne la morte. A Genevieve lo spettatore si avvicina molto più tardi, con la stessa lentezza con cui lo fa Mary, e soprattutto grazie alla presenza dell’adolescente Salomon, figlio suo e di Ahmed. E in effetti Genevieve si presenta inizialmente come un personaggio antipatico e pregiudizioso, ed è proprio questo suo atteggiamento che giustifica il comportamento assolutamente non premeditato ma neanche troppo trasparente di Mary, la quale cela la propria identità per buona parte del film, ritrovandosi senza volerlo ad aiutare Genevieve e il figlio a preparare un trasloco. La scena del primo incontro fra le due, in cui Mary non ha neanche il tempo di aprire bocca perché viene immediatamente identificata come una donna delle pulizie, senza che abbia la minima possibilità di smentire tale ipotesi di Genevieve, rappresenta, anche per lo spettatore, una prima, dura descrizione della forza bruta del pregiudizio, vista dal punto di vista della vittima. Ahmed accompagna tutto il film con la sua assenza. I personaggi parlano di lui, costruendone pian piano un ritratto, che però rimane sfaccettato e pieno di contraddizioni. Emblematica è la scena in cui Salomon mostra un filmino di lui da bambino: Ahmed appare come un perfetto occidentale, e sotto gli occhi increduli di Mary sorseggia una birra. L’accettazione progressiva di tali paradossi legati alla figura del marito segna tutto il percorso di crescita di Mary, quello che il regista stesso definisce una metamorfosi, che ne rivela i lati più nascosti e la libera dai pregiudizi riguardanti il suo aspetto. Il film descrive la ricerca, da parte di Mary, del modo giusto di piangere il marito e di ricordarlo. Mary si trova in sospensione tra la tenerezza e la paura di dover constatare che Ahmed non merita di essere pianto da lei, che al contrario dell’altra ha abbracciato, per amore di lui, un’altra religione e tutti gli oneri ad essa associati. I pomeriggi passati vicino al mare a Calais, ascoltando l’unico messaggio di segreteria lasciatole da Ahmed, si alternano alle mattinate trascorse in casa con Genevieve, in cui abitudini e aspetti del marito a lei sconosciuti emergono a poco a poco, acquistando il volto di Genevieve e di Salomon. La scena in cui la voce metallica annuncia a Mary che il messaggio di segreteria non è più disponibile, purché indicibilmente dolorosa anche per lo spettatore, simboleggia un cambiamento di prospettiva di Mary, che le permette un’elaborazione diversa, più matura, del lutto. La lontananza sociale, culturale ed estetica che differenzia Mary da Genevieve è un aspetto fondamentale e voluto dalla regia, con la precisa intenzione di mostrare l’assoluta irrilevanza di tale diversità. Difatti, il pregiudizio accompagna reciprocamente l’una e l’altra, trasmettendosi anche alla percezione dello spettatore: il lento avvicinamento fra Mary e Genevieve è spesso caratterizzato da dialoghi timidi ma dettati dalle idee stereotipate che l’una ha dell’altra, per cui entrambe approcciano la conversazione con l’assoluta certezza che l’interlocutrice sia diversa, sia altro da lei. Ne è un esempio la scena in cui Genevieve chiede a Mary, con poco interesse, del suo matrimonio e conseguente conversione all’Islam (ignorando ovviamente che il marito di Mary sia Ahmed). Gli elementi comuni alle due donne, che emergono gradualmente nel corso dell’opera, riescono ad abbattere il pregiudizio e a carpire inaspettatamente un’essenza affine. In questo senso, la condivisione di Ahmed fra Mary e Genevieve risulta essere una preziosa opportunità di avvicinamento socio-culturale. In questo modo, mentre l’assenza del marito e compagno si fa sempre più reale e definitiva, le due donne imparano progressivamente ad accettare ed apprezzare le caratteristiche dell’altra: ne è un esempio la scena in cui Mary e Genevieve sono sdraiate, senza alcun contatto fisico, una in ogni metà del letto matrimoniale di Mary. Questo progressivo avvicinamento è espresso a livello simbolico anche dalla realtà geografica: lo stretto canale della manica, visto da entrambe le coste, rappresenta lo spazio, ristretto ma per anni incolmabile, che ha separato Mary da Genevieve e Salomon: l’attraversamento di questo spazio, prima in un senso, poi nell’altro, richiama volutamente a questo avvicinamento. La scena in cui tutti e tre (Mary, Genevieve e Salomon) si recano alla scogliera inglese riproducendo un’azione abitudinale di Mary, rappresenta un annullamento definitivo di questa distanza. È importante, infine, fare riferimento agli aspetti autobiografici presenti nel film. Il regista (che è anche sceneggiatore), ha affermato di aver costruito il personaggio di Mary ispirandosi a sua madre, un’inglese convertita all’Islam per poter sposare un uomo del Pakistan, il padre di Nameen Khan. La madre del regista ha anche svolto un ruolo di supporto, insegnando all’attrice che interpreta Mary alcuni elementi fondamentali della religione musulmana e della cultura pachistana (come ad esempio la preghiera in arabo, e alcuni piatti tipici). Oltre a richiamare la madre all’interno della storia, l’assenza della figura paterna è anch’esso un tema caro al regista, soprattutto se si considerano alcuni suoi lavori precedenti: il cortometraggio Three brothers, ad esempio, è totalmente modulato sull’assenza del padre e sulla sofferenza che questa provoca sui tre fratelli bambini lasciati soli in casa, il maggiore dei quali si chiama anch’egli Ahmed. Più che per questo cortometraggio anteriore, After love è sicuramente un’opera cinematografica ben riuscita, capace, con la sua enfasi drammatica, la qualità della regia e delle interpreti, di narrare una storia non convenzionale in maniera apparentemente semplice. La dimensione del quotidiano attribuisce alla situazione eccezionale che il film intende narrare una realisticità non comune, la quale permette allo spettatore di avvicinarsi ai personaggi e comprenderne empaticamente gli stati d’animo. Inoltre, l’opera è specchio di una delle tante facce dell’Islam e delle preziose ibridazioni culturali che hanno luogo nell’Europa di oggi. Come tale, essa è in grado di gettare luce sulla realtà della multiculturalità e sull’innegabile fatto che l’indipendenza ed emancipazione di una donna non si misurino in base all’aspetto fisico o alle scelte religiose: spesso, piuttosto, ciò che sembra ovvio a prima vista si rivela il contrario nel momento in cui l’inquadratura si stringe.