Bad times at the El Royale – di Drew Goddard
Bad times at the El Royal o come si chiama in italiano: “7 sconosciuti al El Royal”.
L’entusiasmo mi ha colto, sarà per la proiezione di apertura della rassegna, sarà per lo stile tarantinesco della ripresa e la fotografia che strizza ogni tanto l’occhio a kubrick, ma questo film mi è piaciuto!
Il regista
Il regista Drew Goddard, è poco più giovane di me, ma è uno che di prodotti cinetelevisivi ne capisce qualcosa, sceneggiatore (il film se l’è anche scritto), produttore, regista è uno di quelli che ha fatto Lost, scritto Cloverfield, world war z, The Martian sopravvissuto.
Nel 2013 viene assunto dalla Marvel come produttore esecutivo e showrunner della serie Daredevil, in onda su Netflix nel 2015; viene inoltre ingaggiato dalla Sony per scrivere e dirigere lo spin-off della serie di Spider-Man Sinister Six.
Nel maggio 2014 lascia il ruolo di showrunner di Daredevil, di cui resta produttore esecutivo, insomma mastica di gusti del pubblico soprattutto tra i 20 ed 40 anni ed infatti il film è pieno degli ingredienti caratteristici di questo mondo e di questo tempo, direi molto Netflix oriented.
Non vi racconto la storia, ovviamente, vi dico solo che il film ha scene di violenza, un po’ fumettistica, un po’ splatter, ma emozionanti.
Considerazioni
I personaggi di Bad times at the El Royal sono tutti raccontati con forti connotazioni, la musica è fantastica e meraviglioso è il modo in cui viene incastrata nel film, alcune interpretazioni sono quasi magistrali.
Anche la fotografia e la color ti immergono notevolmente in questa atmosfera di sospensione ed isolamento nello spazio e nel tempo come se fossimo rimasti fermi nelle atmosfere xfiles degli anni settanta.
La cosa che mi ha affascinato di più è che tutti i personaggi, anche quelli cattivi, la violenza la subiscono. Sono inermi nei confronti della violenza necessaria, in senso filosofico, del mondo e cercano disperatamente di ritagliarsi uno spazio di fuga e salvezza.
Quindi la violenza del film Bad times at the El Royal non ti lascia amareggiato ma la vivi come un messaggio di non violenza. Ti rendi conto alla fine che il film è in verità un inno alla non violenza, all’espressione del sé ed all’amore vero, empatico tra le persone.
P.S. Jeff Bridges ormai non recita personaggi, ma crea icone.
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