E NOI COME STRONZI RIMANEMMO A GUARDARE
UN FILM DI PIF
Recensione di Claudia Marina Lanzidei
La terza opera cinematografica di Pierfrancesco Diliberto (alias PIF), presentata alla sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è un film ben riuscito, capace di trasmettere un messaggio potente nonostante l’ilarità di cui è intriso. Arturo Giammarresi (nome utilizzato da PIF per i protagonisti di tutte le sue opere), interpretato da Fabio de Luigi è un uomo di quasi cinquant’anni. All’inizio del film, la sua vita subirà un collasso improvviso, in cui perderà il lavoro (per via di un algoritmo da lui stesso inventato che rende il suo ruolo superfluo) e la fidanzata (per via di un altro algoritmo che calcola l’affinità di coppia). L’unico impiego che riesce a trovare è quello del rider addetto alle consegne di cibo per la multinazionale Fuuber. Arturo ha tutt’altro che il vento in poppa, ma l’incontro con Stella (Ilenia Pastorelli), un ologramma generato da un’applicazione controllata anch’essa dal gigante Fuuber, potrebbe rappresentare per lui una svolta, una presa di coscienza sulla sua esistenza e sul destino del mondo.
Un futuro cinematografico
E noi come stronzi rimanemmo a guardare è ambientato nel futuro. Si tratta di un futuro non ben definito, ma recente, poiché chi guarda è in grado di immedesimarsi abbastanza bene in esso. Eppure qualcosa di diverso dal presente c’è, ed è percepibile soprattutto per via della rappresentazione della tecnologia. Gli strumenti tecnologici ai quali gli esseri umani di oggi sono già avvezzi (Smartphone, Computer, apparecchi di riconoscimento facciale e dell’impronta digitale) assumono fattezze diverse. Curiosamente, alcuni di essi sembrano più ingombranti e vintage di quelli contemporanei; ne è un esempio lo Smartphone, più grande, di legno e con il cassettino apribile, come quelli di un decennio fa.
Allo stesso tempo, però, vi sono elementi totalmente inesistenti, che gli spettatori potrebbero aver visto prima solo in un film di fantascienza. L’esempio più calzante è l’ologramma, già presente nel quarto episodio di Star Wars, quando la principessa Leyla si materializza, grazie al mitico robottino R2, davanti a Luke, implorando l’aiuto di Obi Wan Kenobi. E noi come stronzi rimanemmo a guardare però non parla di galassie lontane lontane, ma è una descrizione verosimile di quello che potrebbe essere il mondo reale tra qualche decennio.
Questo ritratto ipotetico del pianeta terra richiama altri film che hanno cercato di immaginare il futuro. Un esempio è Her, diretto da Spike Jonze e interpretato da Joaquin Phoenix e Scarlett Johnson. Questo film è simile all’opera di PIF sia nella trama, che vede una storia d’amore fra un essere umano in carne ed ossa e un’intelligenza artificiale, sia nelle sensazioni che trasmette nel rappresentare il futuro. Anche in Her, lo sforzo immaginativo si basa su concetti esistenti, portati all’esagerazione. Il futuro pertanto non è altro che un presente accentuato nelle sue caratteristiche, la rappresentazione della società occidentale di oggi più radicalizzata, soprattutto nei suoi aspetti negativi.
Blade runner
Un altro classico del cinema fantascientifico che torna per forza alla mente guardando E noi come stronzi rimanemmo a guardare è Blade Runner, sempre per il modo di rappresentare il futuro. Nonostante l’opera di Ridley Scott sia ancora più tetra ed estremizzante (si pensi ai veicoli volanti, alle città grigie e prive di verde, alle luci psichedeliche della Los Angeles del 2019 ritratta nel 1982), l’atmosfera che è trasmessa allo spettatore è affine, e sono presenti alcuni elementi grotteschi in qualche modo associabili.
Il maxischermo posto su vari grattacieli che in Blade Runner ritrae una donna dai tratti orientali che pubblicizza la Coca Cola, è inquietante tanto quanto la voce di John Fuuber che pubblicizza la sua azienda, attraverso discorsi falsamente indirizzati alla realizzazione dei sogni personali.
Inoltre, E noi come stronzi rimanemmo a guardare, Blade Runner, così come Her, trasmettono il senso di incertezza legato al futuro, l’idea consapevole che il mondo prenderà una brutta piega, peggiorando tutto ciò che già oggi, così come lo era nel 1982, è negativo.
“È arrivato Fuuuuber!”
Il refrain canticchiato che Arturo è costretto a ripetere ogni volta che suona il campanello di una casa per portare a termine una consegna diventa, alla fine del film, quasi un tormentone, una canzoncina che tende a rimanere in testa come un’eco. Si tratta di una frase a suo modo comica, capace di generare risate nello spettatore, ma allo stesso tempo inquietante, soprattutto se associata al magnate proprietario del colosso per cui Arturo lavora, John Fuuber, un americano fintamente cordiale, megalomane, con occhi spiritati intrisi di follia.
Questo personaggio, che appare soprattutto nei video motivazionali che Arturo è portato a guardare in sede di colloquio, è una caricatura di personaggi realmente esistenti, proprietari di colossi internazionali che svolgono attività simili a quelle di Fuuber. In questo senso, Fuuber è la versione esagerata di aziende che nel mondo attuale hanno già stravolto l’economia e le abitudini di una notevole fetta di popolazione mondiale. Il contesto in cui Fuuber opera non è altro che il mondo presente portato all’esasperazione, al monopolio ancora più esasperato della tecnologia e al possesso sempre più avido di dati personali in grado di controllare il singolo.
Un inesorabile isolamento
Uno degli effetti della presenza sempre più accerchiante di Fuuber in tutti gli aspetti della vita del singolo è un utilizzo spietato della tecnologia da parte di tutti gli esseri umani facenti parte della società. Se Arturo Giammarresi utilizza lo Smartphone anche per chiudere o aprire il lucchetto della sua bicicletta, esso gioca un ruolo fondamentale anche nella sua vita sociale ed amorosa. John Fuuber difatti controlla anche quella, e si immette sempre più nella vita dei singoli, con la scusa di porre rimedio a problemi di cui la sua azienda è la prima responsabile.
Uno di questi problemi è il progressivo isolamento dell’essere umano, che si ritrova a sostituire con lo Smartphone e con le App la sua socializzazione con altre persone. Nella Roma futuristica descritta da PIF, quasi tutti vanno in giro accompagnati da un ologramma anziché da una persona reale e l’interazione tra esseri umani è portata ai minimi termini, esagerando una tendenza già visibile nel nostro presente. Pertanto, per quanto riguarda il tema del rapporto tra umani e umanoidi, Stella/Flora del film di PIF è un po’ come Natasha di Her (un’intelligenza artificiale che si manifesta solamente come una voce) e un po’ come Rachael, la replicante di Blade Runner, anche se conserva una consistenza più umana, più verace, che si fortifica sempre più nel corso del film.
Arturo, un uomo di oggi
Nonostante ciò, Arturo è per molti versi un personaggio del presente. Pur vivendo nel futuro, ragiona ancora come ragionerebbe un uomo di oggi, come se fosse un romantico nostalgico di un passato che ha visto con i propri occhi, o un uomo di oggi trapiantato qualche decennio più avanti, che fatica quindi ad adattarsi a una società che per molti versi gli è aliena: si stupisce per i posti “appesi” in aereo, per il fatto che non si possa inserire un’età superiore ai 40 anni nel sito di ricerca del lavoro, e in generale non si sente a suo agio nel mondo in cui è immerso.
Una nuova commedia all’italiana?
Il tipo di risata che E noi come stronzi rimanemmo a guardare è in grado di scatenare negli spettatori è sicuramente liberatoria e sincera, ma non spensierata. Si ride con amarezza guardando questo film, si ride per non piangere e per non crucciarsi. Si ride per aspetti della realtà portati agli estremi, ma non lontani dall’assumere quelle fattezze. Un esempio è la scena al ristorante, in cui ogni tavolo può scegliere l’ambientazione in cui mangiare. Arturo e Stella scelgono il Polo Nord, che viene rappresentato così come molti scienziati ci dicono che a breve diverrà: una spiaggia piena di ombrelloni, con qualche fossile di iceberg qua e là.
E noi come stronzi rimanemmo a guardare è denso di elementi comici, e la risata è sempre dietro l’angolo. Il fatto che sia intrisa di un gusto amaro fa convergere il film nel filone della Commedia all’italiana, o meglio di un suo revival in chiave contemporanea, efficacie e capace di sortire un effetto simile a quello di film di grandi maestri italiani del passato. In questo modo, l’opera di PIF è in grado di dare valore alla risata, di non renderla fine a se stessa ma di farne uno strumento di riflessione profonda, condivisibile da tutti gli spettatori appartenenti al contesto sociale descritto nel film.
Di chi è la responsabilità?
Di tutti e di nessuno. Tutti possono dissociarsi dall’attribuirsi la colpa per come il mondo è ed è diventato, ma la responsabilità è parimente nelle mani di tutti. Se E noi come stronzi rimanemmo a guardare è la descrizione del senso di alienazione e disorientamento al quale ogni singolo individuo è sottoposto, e di come sia difficile emanciparsi rispetto ad una situazione in cui si è immersi fino al collo e che non si riesce a percepire nella sua interezza, il film di PIF è anche un caldo invito, per tutti, a riflettere sul proprio, seppur piccolo, ruolo nel far sì che le cose stiano come stanno oggi.
Oltretutto, la scelta di rappresentare un futuro vicino ma molto peggiore del nostro presente è un monito: se già oggi lo stato di cose è questo, domani potrebbe essere peggiore, e la passività con cui il singolo affronta il mondo, sacrificando, mattoncino dopo mattoncino, la propria sfera privata in favore di comodità e vantaggi che poi si riveleranno effimeri non fa che favorire un andamento del genere.
Il discorso finale di John Fuuber vuole gettare luce proprio su questa responsabilità del singolo, che ha lasciato entrare aziende come Fuuber nella propria vita senza opporsi, ma aprendo docilmente la porta quando ha sentito bussare. È in questo momento catartico che Arturo, e gli spettatori, carpiscono il significato intrinseco della frase di Camilleri, tanto piaciuta a PIF e scelta come titolo della sua opera: E noi come stronzi rimanemmo a guardare.
E noi come stronzi rimanemmo a guardare è un film che merita sicuramente di essere visto, coerente nel messaggio che vuole trasmettere, curato nei dettagli, di facile interpretazione ma assolutamente non banale. Guardarlo è un’occasione per riflettere sul futuro e sul presente, ridendoci su.