PADRENOSTRO
UN FILM DI CLAUDIO NOCE
Recensione di Claudia Marina Lanzidei
Il terzo lungometraggio di Claudio Noce è intriso di cenni autobiografici. Ispirato ad una vicenda dell’infanzia del regista durante gli anni di Piombo in Italia, il film descrive il rapporto di Valerio Le Rose, bambino di sei anni, con suo padre Alfonso e il trauma da lui vissuto dopo aver assistito in prima persona all’attentato organizzato dai Nap dal quale il padre si è salvato per miracolo.
Con gli occhi azzurri di Valerio
Padrenostro è un film tutt’altro che facile, che coinvolge lo spettatore in maniera quasi scomoda, risucchiandone lentamente le energie, e rendendolo a poco a poco esausto. Non è un film che vuole essere capito, e infatti alcuni aspetti sono lasciati volutamente all’oscuro, lontani da qualunque tentativo di comprensione assoluta. Il motivo di questa scelta è abbastanza intuitivo: il punto di vista adottato durante tutta la durata del film è quello di un bambino, Valerio, il quale interpreta il mondo che lo circonda – particolarmente ricco di eventi drammatici e situazioni difficili che coinvolgono la sua famiglia – nella maniera che più si addice alla sua età, ossia mescolando fra loro realtà e fantasia, gioco e dramma, tempo lineare e dimensione onirica.
La cinepresa segue Valerio quasi testardamente, piazzandosi saldamente sulla sua spalla e osservando il mondo da lì, oppure scrutando le espressioni che si celano dietro il suo sguardo azzurro limpido. Solo a tratti, per alcuni istanti di tempo isolati, la macchina da presa inverte rotta e abbraccia il punto di vista degli adulti, dei genitori di Valerio. Un esempio è la scena in cui Valerio disegna con i gessetti sull’asfalto la dinamica dell’attentato facendo sì che i genitori intuiscano che ha visto tutto con i suoi occhi. Ma a parte questi rari sprazzi di prospettiva adulta, chi guarda il film è costretto in un mondo che a tratti appare senza capo né coda, popolato di personaggi immaginari e reali allo stesso tempo.
Christian, tra fantasia e realtà
Una delle figure più enigmatiche dell’intera storia, nonché uno dei personaggi più importanti nell’intreccio degli eventi, è proprio Christian, un ragazzino un po’ più grande di Valerio e da lui conosciuto per caso sotto casa. L’amicizia fra i due è importante in Padrenostro quasi quanto il rapporto di Valerio con Alfonso, ed è intrisa di significati simbolici ed elementi ambivalenti. Uno degli aspetti più rilevanti, che però viene svelato solo alla fine del film, è l’appartenenza dei due amici a universi sociali opposti e antagonisti, quelli che Valerio chiama ingenuamente “i buoni” e “i cattivi”. Il legame fra Christian e Valerio è uno schiaffo ad un’ostilità che appare ottusa e senza senso se si pensa all’affetto che lega i due giovani, e che viene fuori in vari momenti del film, come quando stringono il giuramento di sangue.
Un altro aspetto fondamentale è la capacità di Christian di smaterializzarsi all’improvviso, di scomparire dalla scena senza lasciare traccia. Questo è un elemento ricorrente, che lascia lo spettatore dubbioso sul fatto che Christian sia in effetti nient’altro che un personaggio partorito dalla fantasia di Valerio. A favorire questa tesi è una delle scene iniziali: prima ancora dell’attentato, e dell’incontro tra Christian e Valerio, si vede quest’ultimo rubare di nascosto dalla tavola una cotoletta, portarla in una stanzetta del solaio e offrirla ad un amico sicuramente immaginario. Questo evento iniziale insinua nello spettatore ancor di più il dubbio che Christian non sia reale. Questa ipotesi viene smentita nel momento in cui Alfonso e Gina, i genitori di Valerio, si imbattono in Christian e vi interagiscono a loro volta. Il fatto che non sia più solo Valerio a vederlo fa cambiare momentaneamente idea a chi guarda il film. Ma successivamente, anche in una delle ultime scene, Christian svanisce di nuovo, per cui non vi è mai la certezza che esista o che sia un prodotto della fantasia del protagonista.
Un ultimo elemento degno di nota è l’alternarsi, al fianco di Valerio, fra suo padre e Christian. Soprattutto nella prima metà di Padrenostro, Christian sembra comparire proprio quando Alfonso è assente, anzi si ha l’impressione che egli sia il mezzo attraverso il quale Valerio riesce a dimenticare il dolore provocato dal non esserci di Alfonso, e dalla sua conseguente paura di perdere la figura paterna. Anche nella parte di film che si svolge in Calabria, Valerio sembra quasi dimenticarsi che il padre è partito. Quando però Alfonso ricompare all’orizzonte Christian svanisce, e a questo punto la presenza del padre a sua volta fa sì che Valerio non faccia caso all’assenza dell’amico. Quando i due personaggi si trovano finalmente a condividere lo schermo, vi è qualcosa che stride, e il rapporto di Valerio con entrambi sembra in qualche modo messo in discussione. La scena della partita di calcio, in cui Valerio si trova a giocare contro il padre e Christian, è un chiaro esempio di tale disarmonia, e si intuisce la gelosia di Valerio nei confronti dell’affetto paterno; l’esasperazione di questa gelosia si ha nella scena in barca, in cui lo spettatore comincia a sospettare, nella confusione generale in cui è trascinato, chi potrebbe essere in effetti il misterioso Christian.
Padrenostro: una storia di padri e figli, una storia di uomini
Ma l’opera di Claudio Noce, pur dando all’amicizia uno spazio ampio e approfondito, è prettamente la storia dell’amore che un figlio prova per il padre, e di come un bambino come Valerio possa affrontare l’idea di perdere il padre una volta conosciutane la vulnerabilità. Oltre ai cenni e ai significati autobiografici che il regista ha voluto proiettare nel raccontare di Valerio e Alfonso, egli ha sicuramente centrato molti dei punti salienti che negli anni ’70 caratterizzavano (e tutt’ora in parte caratterizzano) il rapporto padre-figlio, nonché il rapporto uomo-uomo. Quello che è narrato in Padrenostro è sicuramente un tipo di rapporto specifico di quel tempo, di un’epoca in cui i figli stravedevano per i padri, facendone i propri eroi invincibili. Allo stesso tempo, però, il film mostra chiaramente la fragilità di un tale assunto e come Valerio debba fare i conti con il fatto di realizzare che suo padre è tutt’altro che invincibile.
La visione del bambino è una visione ingenua della realtà, priva di implicazioni politiche o massime sull’ideologia. Suo padre, come dice la maestra di Valerio, è un eroe, ma Valerio è lungi dal sapere il perché. Allo stesso modo, egli ignora i motivi per cui il padre è nel mirino degli attentatori, si limita a classificare innocentemente la realtà in “buoni” e “cattivi”. Il merito di Pierfrancesco Favino, superlativo nell’interpretare Alfonso Le Rose (così come Mattia Garaci è bravissimo nei panni di Valerio), è proprio quello di apparire fortissimo e fragilissimo insieme, coraggioso e impaurito, con il controllo della situazione e senza. Uno dei momenti più emblematici ed emozionanti è proprio una delle scene finali, in cui è il figlio ad aiutare il padre a riprendersi, appoggiandosi la mano paterna sulla pancia per re-insegnargli a respirare.
Si tratta di una storia in cui gli uomini, per motivi sociali legati alla realtà del tempo, sembrano avere il ruolo di protagonisti, mentre le donne sono in disparte e assistono. Innegabilmente, è così che va la vicenda, è l’universo maschile quello del quale si parla ed è la psicologia degli uomini quella che si cerca di raccontare. Sono gli uomini – i maschi – che piangono ed esprimono il loro disagio, loro che si mostrano in tutta la loro fragilità, la quale sono solitamente costretti a tenere nascosta, perché così è che vuole la società, quella di allora forse più di quella di oggi.
Padrenostro è un film di spessore, in cui il caos è voluto e intenzionale. Da vedere, nonostante il carattere sibillino di alcune parti della narrazione che lasciano inevitabilmente spettatori e spettatrici con qualche punto interrogativo irrisolto.