il cinematografo
Il Punto Di Svista Del Cinefilo
di Massimiliano Artibani
SINOSSI
Dopo aver perso il marito e il lavoro durante la grande recessione, la sessantenne Fern lascia la città di Empire in Nevada. Fern vuole attraversare gli Stati Uniti occidentali a bordo del suo furgone adibito a casa.
È una nomade che però prova a rifondare una comunità, scoprendo e amando quella umana.
CRITICA
Nomadland ”è il tipo di film che vince premi, funziona e nessuno lo guarda mai più. È crudele ma vero. Perché il film racconta di confini che noi normalmente abbiamo paura a travalicare, racconta di riflessioni esistenziali che abbiamo paura di fare, racconta il nostro mondo umano sul ciglio della propria tragica fine ed allo stesso tempo racconta una rivoluzione, possibile e la sua ricerca, come la sospensione del giudizio di un osservatore di fronte ad un cambiamento epocale.
La cosa più interessante del film è la regista, Chloè Zhao, cinese che racconta con il suo sguardo orientale, l’America, un paese che in fondo la odia, perché odia tutti anche se stessa, ma che lei ama, ma lo racconta con un piglio occidentale, un viaggio di eroi, sperduti, nascosti, potenti nella loro fragile umanità. È stato detto che è un film non abbastanza politico, probabilmente perché il libro da cui è tratto di Jessica Bruder del 2017 racconta lo sfruttamento dei nomadi da parte delle multinazionali con una lettura marxista anticapitalista, ma la regista è riuscita a trasformare questa storia nel viaggio di Fern, una donna che ha perso il marito e tutto quanto, che come ultima possibilità trasforma il furgone in una casa.
Il Film è una storia di sopravvivenza e persino un’avventura, ma c’è molto di più che una semplice lettura politica marxista. Si tratta di raccontare la storia dell’essere umano di fronte a se stesso, alla propria evoluzione, al mondo che ha costruito ed in questo la natura grandiosa dell’America è il contraltare ideale. Se in In to the Wild l’uomo era solo di fronte alla natura, qui l’uomo corre il rischio di restare solo di fronte alla società che ha costruito, ma il tanto vituperato istinto si sopravvivenza va oltre, non è egoismo e solitudine, diventa comunità e riscatto.
Anche l’ideologia viene superata, nonostante tutta la critica americana non abbia saputo leggere il film in maniera diversa se non mediante essa, nonostante l’Accademy gli abbia consegnato due oscar proprio per un senso di colpa ideologico, comunque, anche se probabilmente a livello inconscio, la sua grandezza è stata colta e sta nel mostrare proprio questo senso di comunione sistemica di tutti con tutto in cui è sempre l’uomo che sceglie per se stesso se vivere o morire, se far parte del mondo o dominarlo.
Si potrebbe dire anche che il neorealismo non è morto, quello sguardo è ancora vivo, è cambiata solo la realtà da raccontare. Inoltre la forza di questo film sta nella sua naturalezza, nella capacità di raccontare la realtà mischiandola con la finzione, ma lasciandola profondamente vera.
Il giorno dopo la premiazione, tutta la stampa italiana si è sperticata nei peana e nei pianti per la mancanza di premi all’Italia, ma non si è affatto domandata come mai, questo è potuto accadere, Non si è chiesta come mai Pinocchio o la Pausini siano state le uniche cose che siamo riusciti ad esportare e non abbiano comunque ottenuto premi.
Non si sono poste domande sulla creatività del cinema nostrano, sulla volontà e capacità di sperimentare, sulla mancanza di idee che abbiano un respiro internazionale, sul fatto che le produzioni campino di prodotti confezionati e plastificati e si accontentino dei finanziamenti senza incentivare il nuovo, non si è chiesta quali siano le conseguenze del fatto che lavorano sempre gli stessi e che pure i presunti nuovi nascano già vecchi perché originari dalle stesse dinamiche e modalità nepotistiche. Anche per questo Nomadland è un film che fa pensare, perché è qualcosa che traccia una strada sul crinale per dirla alla Benjamin, senza cadere nella riproducibilità stereotipata.
Una regia che spicca per la sua capacità di rimanere nascosta nonostante la forza della narrazione, così architettata da essere profondamente reale, con un interpretazione magistrale della McDormand.
Molti, se non la maggior parte, del cast di “Nomadland” sono persone “reali”, veri abitanti dei furgoni, tra cui Bob Wells, un noto YouTuber e autore che interviene poche volte per esprimere la critica del capitalismo e, in una scena, per servire come confessore a Fern. In quel momento, Bob stesso confessa, dice a Fern che suo figlio morto, “che si è tolto la vita”, avrebbe avuto 33 anni proprio quel giorno. La scelta delle parole è significativa. Così è l’età, che non può essere una coincidenza. Allo stesso modo, il fatto che Bob assomigli a un profeta dell’Antico Testamento e predica ai nomadi riuniti. “Gettiamo volentieri il giogo del capitalismo e viviamo con esso per tutta la nostra vita”, dice alla moltitudine in uno dei suoi conclavi, chiamato all’appuntamento dei vagabondi di gomma. Potrebbe anche dire “rendi a Cesare quel che è di Cesare”.
Alla fine è un film sull’empatia, che non solo la mostra , ma la spreme fuori dalla storia, dalla fotografia, dalla recitazione, dal messaggio e la sensazione che ti lascia in bocca. Siamo esseri umani e come tali, nonostante tutto quello che stiamo facendo, abbiamo bisogno di empatia e questa è l’unica salvezza e rivoluzione da vedere assolutamente ora più che mai
Voto massimo!!!