PASSING
UN FILM DI REBECCA HALL
Recensione di Claudia Marina Lanzidei
È senz’altro un film di spessore quello di esordio da regista dell’attrice britannica Rebecca Hall. Passing, presentato alla sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, è un’opera prima ben costruita, pensata a puntino in tutti i suoi dettagli tecnici e stilistici. Inoltre, si tratta di una pellicola che è capace di innescare in chi guarda riflessioni profonde su un tema vecchio di secoli ma estremamente contemporaneo, il razzismo.
Il ritratto di due amiche e di New York
Siamo in una New York di cent’anni fa. I bei vestiti tipicamente anni ’20 indossati dalle donne, i negozi e le botteghe, gli argomenti di conversazione che si sentono di sfuggita qua e là sono le prime inquadrature di Passing. Due donne stanno facendo compere, entrano in un negozio cercando una bambola di pezza. Ne scelgono una nera, commentando a gran voce che la destinataria del regalo, la nipotina di una delle due, di “negri” ha visto solo i domestici. La bambola cade in terra per sbaglio, e qui entra in scena Irene, che la raccoglie e la porge educatamente alle due signore, che la ringraziano e lodano la sua gentilezza. Nessuna delle due sembra notare nulla né battere ciglio.
Passing narra in primis dell’amicizia piena di ambiguità e ambivalenza fra due donne, Clare e Irene (chiamata René da Clare), ritrovatesi per caso nel caffè di un albergo lussuoso dopo tanti anni che non si vedevano. Le due donne sono entrambe nere, ma dalla carnagione così chiara da riuscire, se vogliono, a confondersi e a passare per bianche. Negli anni in cui non si sono viste, hanno intrapreso cammini opposti: se Clare ha cavalcato l’onda del sembrare bianca, sposando un biondo iper-razzista che non si è mai accorto delle vere origini della moglie, e dando alla luce una figlia senza ombra di dubbio bianca, Irene ha sposato un medico nero, vive ad Harlem e porta avanti la causa degli afro-discendenti organizzando balli ed eventi per un’associazione.
In secondo luogo, con la scusa di narrare di questa amicizia, Passing è un film che affronta il tema dell’identità razziale e del razzismo in quegli anni. Così come questa tematica sociale fa da sfondo alla relazione tra Clare e Irene, allo stesso modo le interazioni fra le due, con tutta la loro incostanza, rappresentano la scenografia perfetta per ritrarre quella New York, e soprattutto quell’Harlem, le sue forti e contraddittorie radici identitarie e i suoi incontri mondani.
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Quando la fotografia è decisiva
Uno degli aspetti che salta subito all’occhio di spettatori e spettatrici è la scelta fotografica del bianco e nero. Tale caratteristica aiuta ad alterare la percezione degli spettatori, e si dimostra una scelta stilistica particolarmente azzeccata. Il bianco e nero contribuisce senz’altro a rendere l’idea del particolare periodo storico di cui si sta narrando, durante il quale il cinema era tutto monocromatico. Oltretutto, esso esalta i colori molto chiari o particolarmente scuri, mentre lascia un dubbio su quelli nel mezzo. Ciò si applica anche agli incarnati delle persone ritratte, trasmettendo nel migliore dei modi allo spettatore l’ambiguità di alcune sottilissime, praticamente impercettibili differenze cromatiche e fisiche, le quali però, se colte, sono in grado di stravolgere totalmente l’ordine sociale.
Basti pensare alla situazione di Clare con suo marito, un uomo di affari bianco, il quale si presenta fin da subito come un razzista sfegatato. Egli ignora totalmente le vere fattezze della moglie, ma l’equilibrio sul quale si regge la relazione è fragilissimo e si tiene in piedi solo grazie a queste impercettibili sottigliezze, grazie alle quali Clare riesce a nascondere il suo essere nera. Questa precarietà, questo essere perennemente appesa ad un filo di Clare, viene fuori anche nella scena in cui racconta a Irene della figlia e del suo grande timore che nascesse scura, seguito poi da un estremo sollievo quando ciò non è accaduto.
Oltre al bianco e nero, la fotografia si caratterizza anche per una ricca quantità di chiaroscuri, ombre lunghe che limitano la visibilità di alcune parti delle inquadrature, immagini che ritraggono interni eleganti ma solo parzialmente visibili. Anche questa scelta segue l’andamento del film e i suoi messaggi, rispecchiando i punti dolenti e volutamente dimenticati del passato delle due donne, il loro affetto reciproco velato da gelosie e rancori, le contraddizioni che caratterizzano il loro vissuto e che ostacolano l’andamento del loro presente.
Irene
Questo cercare di ripudiare il passato, di rinchiuderlo nell’oblio, è un aspetto che caratterizza soprattutto Irene. Se la sua esistenza appare serena e plasmata da scelte coraggiose e coerenti, si capisce fin da subito che la presenza di Clare nella sua vita è scomoda e capace di risvegliare antichi fantasmi. Emblematica è la scena in cui, all’affermazione del marito sul fatto che ognuno vorrebbe essere qualcun altro, lei risponde che lei desidera essere esattamente chi è. Anche nel suo caso, l’equilibrio che si è costruita non sembra dei più solidi, messo in discussione da Clare con la sua sola presenza che odora di passato.
Razzismo, ieri come oggi. Una finestra sul passato, vicino ma quasi dimenticato
La vicenda di Irene e Clare offre a chi guarda l’occasione per riflettere su uno dei fenomeni che tutt’oggi attanaglia la società, quella americana così come molte altre. Il razzismo, la discriminazione delle persone nere, ha mantenuto caratteristiche pressoché immutate nonostante gli innumerevoli tentativi di eradicarlo e di promuovere ideali di uguaglianza. Benché sia passato un secolo dall’epoca in cui Passing è ambientato, e la situazione per gli afroamericani abbia visto dei miglioramenti, il film è particolarmente utile nel far vedere come i tratti salienti che determinano il razzismo siano rimasti in un certo senso gli stessi. Alcuni momenti dell’opera di Rebecca Hall sono particolarmente emblematici a riguardo.
Crimini, esoticismo e altri luoghi comuni
In primis, si può menzionare la scena in cui il marito di Clare spiega a Irene, scambiata in quel momento per una bianca, perché egli si definisce razzista; il motivo sta nel fatto che secondo lui i neri sono tutti ladri, assassini e violenti, responsabili di quasi tutti gli atti criminali. Questo ragionamento falsamente logico sembra non fare una piega, e colui che lo pronuncia sembra convincersene ancora di più man mano che dà adito alle parole.
Il secondo momento è durante il ballo che Irene ha organizzato con l’associazione per la quale svolge volontariato. Insieme con lo scrittore bianco che collabora con lei, i due si ritrovano a parlare scherzosamente del fascino e della sensualità che caratterizzano le persone nere, della loro esoticità, capace di sedurre i bianchi. Infine, la scena in cui il marito di Irene spiega ai figli bambini dei linciaggi compiuti continuamente ai danni dei neri per dei presunti crimini la cui colpevolezza non è provata mette anch’essa in risalto dinamiche che, seppur più rare e meno violente, esistono tutt’ora. Non è raro, infatti, trovare su qualunque testata giornalistica articoli stracolmi di accuse prolisse e totalmente infondate o non confermate, spesso indirizzate agli stranieri.
È un mondo, quello di Clare e Irene, crudele, ingiusto, pieno di bocconi amari da mandar giù. È il mondo che Irene vorrebbe tenere nascosto il più possibile ai suoi figli bambini, ma che bussa violentemente alla porta insieme a Clare, vittima e artefice dell’infelicità di Irene e del suo stesso destino.
Passing è un film che ci parla di come l’esistenza di ogni essere umano sia governata da luoghi comuni privi di fondamento, ma ai quali ci si aggrappa con una testardaggine tale da mantenerli vivi per secoli, tramutandoli in una certezza. Irene e Clare sono soprattutto vittime di un tale ordine cosmico governato da pregiudizi e da una tirannia dei colori e delle apparenze. Il loro agire nel mondo non solo è incapace di invertire questo ordine delle cose, ma inconsciamente lo rafforza.