Sangre Blanca – di Barbara Sarasola


Nel guardare Sangre Blanca ci aspettavamo molta più suspence. Il trailer ed il titolo promettevano bene. Anche il fatto che si trattasse di cinema argentino, senza luoghi comuni, ma con aspettative sanguigne.

La storia ci viene presentata al confine con la Bolivia. Per la maggior parte gli esterni sono stati girati a Tartagal o nella zona di Salvador Mazza a Salta, provincia in cui ha origine il regista e sceneggiatore del film Bárbara Sarasola-Day, (lo so perché mia madre vive in Argentina ed io sono affascinato da questa terra).

Subito ci vengono presentati Martina (Eva de Dominici) e Manuel, stanno in Hotel perché lui si sente molto male. A questo punto scopriamo che sono muli che trasportano capsule di cocaina all’interno dei loro corpi, ma Manuel muore a causa di questo e Martina deve occuparsi del cadavere.

La premessa è promettente ed il conflitto inizia a stabilirsi, Martina allora, con la pressione dei trafficanti, decide di chiamare suo padre Javier (Alejandro Awada) che non ha mai incontrato.

Tuttavia, questa pressione è fatta solo da una moto e da un telefono, l’azione non si sviluppa.

Trama

Trascorriamo i primi minuti del film guardando Martina mentre si droga, cercando di dimenticare che ha un corpo in albergo. Sono sequenze che risultano sprecare tempo prezioso nel film, si sarebbe potuta sviluppare la stretta dei trafficanti, generando suspence, oppure raccontare meglio il personaggio di Martina, attraverso la descrizione della sua storia.

Il conflitto risulta debole, non ci sono peripezie, ma tutto si risolve con l’arrivo del padre Javier.

Lasciando da parte che è possibile fare un’opera cinematografica senza che ci siano troppi ostacoli per il protagonista nel realizzare la sua missione, che sarebbe qualcosa di non classico, in questo caso il film sembra avere difficoltà a intraprendere un percorso specifico.

Non si sviluppa né nella trama classica del Thriller né nel rapporto conflittuale padre figlia. Di conseguenza l’arrivo del padre è denso di aspettative. Awada (l’attore che ricopre il personaggio del padre) dovrebbe dare spessore  al personaggio, ma rimane in sordina come se si fosse appena svegliato, per tutta la durata del film. 

Martina con il suo odio, paura e sgomento, esce sicuramente meglio, ma solo in alcune scene grazie ad Eva de Dominici che fa tutto il possibile per portare un po’ di tridimensionalità a un personaggio piatto.

Considerazioni

La fotografia ci concede maggiore entusiasmo, ma tutto rimane sopra ad una superficie che ci lascia l’amaro in bocca, è vero che sicuramente non è costato molto, ma poteva essere fatto meglio.

La regista sembra voler lasciare da parte la trama usandola solo come escamotage per descrivere la relazione tra padre e figlia, ma anche questa non è affatto approfondita, non ci racconta nulla del loro passato, non conosciamo i punti di partenza tantomeno dove potrebbe arrivare, comunque si cerca di rimediare nel finale

Sfortunatamente, questo film non diventa poetico, drammatico o profondamente divertente, poiché i generi

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