THE AVIATOR: TRA GENIALITA' E OSSESSIONE

Recensione di Giulia Lang

La psicopatologia nel cinema: The Aviator

Alcune tipologie di film fanno dell’ansia lo strumento comunicativo fondamentale, spiega il medico e docente di psichiatria Matteo Balestrieri nel suo volume Vero come la finzione: la psicopatologia nel cinema (2010).
Mentre i generi più dinamici, come il thriller, il poliziesco o l’horror sono necessariamente basati sulla scarica adrenalinica, pellicole di genere drammatico spesso rappresentano l’ansia attraverso le patologie dei propri protagonisti, in lotta con il proprio io e alla ricerca di un loro equilibrio.

Si pensi ad esempio a film come Marnie di Alfred Hitchcock, o – in tempi più recenti – a pellicole come A beautiful Mind, diretto da Ron Howard o The Aviator, biopic diretto da Martin Scorsese che racconta la vita del celebre produttore e aviatore Howard Hughes, affetto da disturbo ossessivo-compulsivo. A quest’ultimo lungometraggio è dedicata la seguente analisi.

The Aviator racconta la vita di Howard Hughes, celebre aviatore, produttore e regista statunitense.

Hughes (interpretato magistralmente da Leonardo Di Caprio, alla sua seconda collaborazione con Scorsese) ha ereditato una grande ricchezza dai genitori morti prematuramente e investe la sua fortuna nel cinema e nell’aviazione, le sue due più grandi passioni. La sua profonda meticolosità porta i suoi investimenti ad essere più che lungimiranti e innovativi, dal multicolor ai primi film sonori, intercettando l’appeal dello scenario aviatorio sul pubblico. Grazie al denaro Howard riesce ad entrare nel mondo di Hollywood, intrecciando storie con attrici famosissime – tra cui Katharine Hepburn e Ava Gardner – e a finanziare i suoi ambiziosi progetti di aviazione.

La Hollywood degli anni Venti

Martin Scorsese catapulta immediatamente lo spettatore nell’America glamour degli anni ‘20: i colori sono caldi, la musica Jazz è protagonista di diverse scene, le ambientazioni sono estremamente realistiche.
La storia è narrata attraverso il punto di vista del protagonista. I genitori di Howard facevano parte dei cosiddetti “nuovi ricchi” e lui ricorda bene la sua infanzia in povertà, di conseguenza si contrappone all’avidità degli aristocratici.

Quella di Hughes è una figura delicata da raccontare, sia per il suo talento che per il disturbo psichiatrico di cui era affetto: disturbo ossessivo-compulsivo, inizialmente in forma lieve, poi destinato a peggiorare in seguito ad alcuni avvenimenti. Questa patologia lo induceva a lavarsi continuamente le mani, a evitare i contatti con determinati oggetti e persone, ad essere ossessionato da batteri e pulizia.

La causa del disturbo di Hughes ha radici profonde nella sua infanzia: la scena iniziale del film mostra infatti il piccolo Howard lavato accuratamente con un sapone nero dalla madre, che nel suo gesto lo mette in guardia dalle epidemie che lo perseguiteranno sempre e a causa dalle quali “non sarà mai al sicuro”. Il detergente nero – emblema del rapporto tra il protagonista e la figura materna – Howard lo porterà con sé ogni giorno della sua vita.

The Aviator: la nascita e la caduta del mito

Scorsese ci pone davanti ad un personaggio complesso e tormentato: il processo degradante di un uomo nel suo contrasto tra necessità di libertà ed impossibilità di svincolarsi dall’ossessione. Howard prova ad opporsi alla sua malattia quando intreccia una relazione con Katharine Hepburn, il suo più grande amore (interpretata nel film da Cate Blanchett, che grazie alla sua interpretazione si è aggiudicata il Premio Oscar come migliore attrice non protagonista). Emblematica è la scena in cui lui, germofobico, si sforza di bere il latte dallo stesso bicchiere dell’amante. Non a caso, il disturbo di Howard comincerà a peggiorare proprio in seguito alla rottura con l’attrice – l’incapacità di accettare la situazione lo porterà ad avere altre relazioni tossiche, come quella con l’attrice Ava Gardner – e raggiungerà il suo apice quando finirà sotto inchiesta federale.

Nonostante inizialmente il film proceda ad un ritmo piuttosto lento, con l’avanzare della visione si capisce che il regista sta portando lo spettatore ad assistere alla nascita e alla caduta di un mito, fino al gran finale, una sorta di consapevolezza di sé quasi profetica del protagonista, riscontrabile in diversi aspetti – sia estetici che narrativi – della pellicola.

Dal punto di vista narrativo, Hughes vive in prima persona quello che viene definito da molti il “sogno americano”, l’uomo che dal nulla fa la sua fortuna, la sua carriera. Ciò richiama anche al concetto di autodeterminazione di Friedrich Nietzsche, l’uomo è artefice di se stesso. Questa autodeterminazione è riscontrabile anche in alcuni elementi visivi della pellicola: Hughes viene spesso ripreso mentre si riflette in qualcosa, uno specchio, un aeroplano, lo schermo del cinema, simbolo della complessità del personaggio, in lotta con se stesso e con la sua malattia.

Il talento come dono profetico

The Aviator si conclude mostrando un flashback: ci troviamo di nuovo alla scena iniziale della pellicola, il piccolo Howard è lavato da sua madre e, mentre si riflette in uno specchio, fantastica di voler far volare l’aereo più veloce mai costruito, realizzare i più grandi film mai girati e diventare l’uomo più ricco del mondo.

Dunque il finale si ricongiunge con il principio: Howard raggiunge la consapevolezza della propria esistenza nella sua immagine riflessa allo specchio. La sua genialità e lungimiranza in realtà, si rivelano essere un dono profetico. La sua determinazione ha lo scopo di restituire al mondo il suo dono.

Valutazione
4.5/5

Martin Scorsese racconta magistralmente allo spettatore la nascita e la caduta di un uomo geniale, diviso tra la necessità di una libertà emotiva e l’impossibilità di svincolarsi dalle proprie ossessioni.