THE EYES OF TAMMY FAYE

DI Michael Showalter

Recensione di Massimiliano Artibani

È il film che ha aperto la Festa del Cinema di Roma, con la presenza in sala della protagonista Jessica Chastain e Vincent D’Onofrio che interpreta il reverendo Farewell e quella più silenziosa, ma non meno interessante del Presidente Mattarella: cosa avrà pensato del modo così particolare di vivere la fede dei protagonisti? Ma aldilà delle nostre curiosità insoddisfatte il film è un biopic che racconta la storia della coppia evangelica più famosa d’America, Jim (Andrew Garfield) e Tammy Faye Bekker (Jessica Chastain) dalla gioventù all’apice del loro successo televisivo, fino allo scandalo che si diffuse in tutto il paese alla fine degli anni ’80 e che mise sotto l’occhio del ciclone  tutto il sistema delle televisioni evangeliche cristiane americane. The Eyes Of Tammy Faye Prendendo spunto da un famoso documentario del 2000, il regista Michael Showalter decide di raccontarci la storia di Tammy attraverso il suo sguardo, gli occhi appunto, che rappresentano il ricordo più kitsch della vicenda e che aprono il film  come una sorte d’immagine fantasma, con tutta la loro marcata presenza di rimmel: “non mi sono mai struccata prima, è la prima volta che vado in televisione senza trucco”. Il film presenta moltissimi spunti interessanti che purtroppo la sceneggiatura  di Abe Sylvia non valorizzano, tutto si dipana in un racconto temporale a tappe che rimane sempre in superficie. Il valore aggiunto è l’interpretazione delle Chastain unica reale giustificazione alla visione. L’esuberante passione religiosa della giovane Tammy, mischiata ai primi impulsi sessuali della pubertà la potrebbero avvicinare all’immagine di una mistica medievale, passione che poi la porterà, durante i suoi studi al College cattolico ad essere rapita dai sermoni appassionati del giovane Jim sempre rivolti all’importanza della ricchezza e del benessere come dono del Signore, ma tutto scorre troppo liscio, senza che i conflitti della personalità della protagonista vengano scavati e mostrati nelle loro profonda contraddizione. Il tema del corpo, tra sessualità e canto, il tema della omosessualità e della morale: significative sono le scene in cui Tammy scopre l’omosessualità repressa del marito, oppure discute con il reverendo Farewell sull’accettazione della diversità, non vengono mai affrontate fino in fondo, non ci viene mai mostrato nessun reale conflitto interiore, eppure le azioni sono state compiute e furono  anche azioni importanti. Per anni ed anche tutt’ora il partito Repubblicano americano si è fatto finanziare da tutto il movimento Cristiano evangelico, da Reagan, a Bush fino a Trump, giocando sulla fede e la fiducia di milioni di persone, alimentando il loro moralismo e manipolandone le predisposizioni. Tammy grazie alla sua ingenua e infantile disposizione al messaggio di evangelico di Gesù, ha difeso il movimento gay diventando una vera e propria icona LGBTQ+. Tutti questi elementi passano nella visione della storia come semplici momenti temporali, scene senza intensità, il tessuto narrativo risulta scollato e manca di crescendo che ne intensifichi l’emozione. L’Alleluia finale non riesce a coinvolgere fino in fondo lo spettatore che rimane spiazzato anche dal resoconto reale raccontato sui titoli di coda, perché tutto risulta un po’ grottesco e sovrastimate. Sembra quasi che il regista e lo sceneggiatore cerchino una sorta di giustificazione per la povera Tammy, la quale in fondo voleva solo essere vista ed amata per la grande predisposizione all’amore che emanava, ma non ci viene mostrato mai nella sua violenza e crudeltà il terribile ingranaggio nel quale si è ritrovata e la sua ingenuità purtroppo non basta a giustificarla.
Valutazione
4.5/5

Belfast, il film autobiografico di Kenneth Branagh, è  splendidamente scritto, recitato e girato. Alcuni potrebbero accusare la pellicola di essere troppo sentimentale o poco conforme al modello di rabbia politica e disperazione considerato appropriato per i drammi sull’Irlanda del Nord. E sì, c’è certamente un certo grado di sentimentalismo in Belfast ma, soprattutto, c’è tanta generosità emotiva. È una storia che celebra la famiglia e le proprie origini, un film sulle persone e sui luoghi che hanno trasformato Kenneth Branagh nell’uomo e nell’artista che oggi conosciamo.