The Irishman, un film che porta con sé una grande aspettativa, ma poi in fondo la soddisfa?
The Irishman è il primo film di Scorsese con Al Pacino, si avvale della presenza di un De Niro ringiovanito (con la tecnologia De-Age) e di Joe Pesci, oltre ad Harvey Kaitel in una piccola parte stratosferica.
Ha una durata di ben oltre tre ore, parla della storia dell’Hitman Frank Sheeran amico del mafioso Russell Bufalino e di Jimmy Hoffa noto sindacalista dei trasportatori.
Sono gli anni che vedono l’America passare da Kennedy a Nixon, combattere in Vietnam e rischiare lo scontro nucleare alla baia dei Porci.
Sarebbe potuto essere un capolavoro…se solo, ma con i se….
Tutti questi sono elementi che fanno premeditare al capolavoro, ma ve lo dico subito, per me non è cosí.
Certo ci sono elementi che sono piaciuti, la rappresentazione della violenza in maniera talmente diretta e naturale da sembrare quasi scontata, direi nichilista.
La recitazione degli attori talmente perfetta da sembrare oltre la realtà come se stessimo vedendo le persone e non i personaggi.
Lo sguardo attonito e silenzioso di Peggy che ci accompagna per tutto il film e rappresenta il terrore profondo del nostro bambino interiore.
Ma il problema più grande è che tutto questo non riesce a togliermi dalla bocca un sapore di vecchio e confezionato che rasenta il fastidio.
Nessun conflitto interiore, nessuna riflessione sul male, tutto risulta appiattito e superficiale
Al fast food vi capita spesso di vedere quelle belle foto di panini succulenti e gustosi e poi ovviamente quando comprate il prodotto non corrisponde affatto alla fotografia, ma il suo sapore voi sapete che è stato costruito a tavolino, dosato nei particolari e vi accorgete che in fondo vi piace, siete consapevoli che non vi hanno venduto la cucina gourmet, ma tutto sommato ci può stare.
Ecco la situazione è un po’ questa, ma qui si tratta di Scorsese cacchio! Il panino mi aspettavo che fosse quello della foto, quello gourmet.
È un film presuntuoso, il regista combatte con il fantasma interiore di Sergio Leone (C’era una volta in America) e purtroppo soccombe, ma non ha neanche la capacità autoironica di Tarantino risultandone sbeffeggiato. Coppola non lo menziono sarebbe oltremodo crudele.
La fotografia è “netflixata” dando una generale allure di tetrapak
La dinamica narrativa scontata, il film poteva finire tranquillamente 20 minuti prima, a volte però la lentezza è strumentale perchè suscita nello spettatore un anelito di senso che ricopre il tutto con un senso di profondità. Come quando durante una conversazione si mantiene il silenzio per sembrare più intelligenti.
Il Regista comunque una frecciatina politica la lancia: In America non si può scindere il potere ed il successo dalla criminalità , le due cose sono cresciute ed evolute sempre insieme, sarà felicissimo Trump.
Per concludere, ragazzi il film va visto, perché comunque ne vale la pena, ma poi uscite ed andate a ballare.
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