il cinematografo
Il Punto Di Svista Del Cinefilo
Recensione di Massimiliano Artibani
Sinossi
Antonio Ligabue viene espulso dalla Svizzera e trova rifugio in Italia. Per anni vive in povertà nelle pianure alluvionali del Po, trovando conforto nella sua passione per il disegno e la pittura, fino a quando non viene notato da un critico.
Critica
Giorgio Diritti vince il David di Donatello come miglior film e miglior regia con un’ opera biografica sull’artista Ligabue, Elio Germano è stato premiato come miglio attore.
I fatti della vita dell’artista (1899-1965) sono piuttosto noti e l’attenzione di Diritti non si concentra nell’elencarli piuttosto nel trovare un corrispettivo cinematografico alla pittura ferocemente istintiva e crudamente emotiva del suo soggetto. La bellezza e l’originalità delle immagini, che vanno dalle impressioni della natura lungo la pianura padana a straordinarie composizioni architettoniche, possono travolgere i sensi con una gioia che consola lo spettatore per il dolore della vita dell’uomo. Perché questa è una storia molto triste. Ma due solide ore di arte cinematografica senza una forte cornice narrativa a vincolarla, non riescono a catturare l’attenzione, e alla fine questa sembra un’altra produzione televisiva Rai fatta più per le televisioni che il cinema.
Ligabue è giustamente presentato come un unico occhio in movimento avvolto in una coperta nera. Sta osservando da vicino il medico che aspetta di visitarlo in una clinica psichiatrica dove è stato sepolto. È una ripresa densa di immaginario ee emozione che viene ripetuta più volte durante il film, presumibilmente per suggerire che il titolo Volevo Nascondermi ha un significato più ampio di persone diversamente abili tenute fuori dalla vista della società.
Toni, come è noto, è nato a Zurigo, figlio di una povera donna italiana che lo ha dato a gente di campagna ruvida perché lo crescesse. La sua infanzia infelice è riassunta nell’abitudine inquietante del bambino di andare in giro con un imbuto di metallo in bocca. Le reazioni della sua famiglia ignorante e della sua società ignorante sono molto dolorose da guardare.
Le scene saltellano e toccano brevemente l’adolescenza di Toni, quando le sue differenze fisiche e mentali sono diventate evidenti. Certamente, l’Italia dell’inizio del XX secolo non era un’epoca pronta ed illuminata ad accettare studenti speciali. Toni viene a sapere della morte della madre naturale senza un minimo di empatia o semplicemente tatto. Vediamo un pomposo educatore che legge una notizia scioccante a un gruppo di bambini e adolescenti diversamente abili su un uomo la cui moglie e tre figli sono morti di intossicazione alimentare e questo è tutto.
La Svizzera alla fine lo espelle, si ritrova in Italia, paese natale dei suoi genitori, dove regna la povertà assoluta mentre il fascismo mette radici. Braccato da bande di ragazzi, Toni (Germano) si ritira nei boschi e vive in una baracca sul fiume, freddo, affamato e solo. Viene mostrato mentre vive come un animale selvatico. Questo è il punto più basso di Ligabue, insieme a un periodo in un reparto psichiatrico dove speso veniva legato al letto.
Per fortuna fa amicizia con lo scultore Renato Marino Mazzacurati (Pietro Traldi), che nota la sua abilità nel disegno e lo fa iniziare con i colori ad olio. Per un po’ Toni dorme a casa sua e viene nutrito dalla sua gentile madre (Orietta Notari). Ma è un periodo che si rivela temporaneo. Non sorprende che sia tenuto a distanza dal sindaco fascista, che sta valutando i costi dei senzatetto, mentre i residenti locali lo vedono per lo più come un pazzo innocuo.
Eppure, quando un critico d’arte vede i suoi dipinti di tigri e tacchini e un documentarista romano lo include in un film, il momento di Toni è arrivato. Il suo lavoro ottiene prezzi sempre più alti e riesce ad acquistare uno sciame di motociclette e, in seguito, anche un’auto con conducente. Il sindaco gli assegna una casa di campagna dove può vivere e lavorare. Ma la sua relativa ricchezza rispetto alle persone intorno a lui non gli porta la moglie che desidera così tanto, e in una delle scene più tristi oscura un ottimista murale a grandezza naturale nella camera da letto che desidera condividere con una giovane cuoca ( Francesca Manfredini).
Mentre i realizzatori vogliono affermare che la diversità è un valore positivo per la società, come si vede nei meravigliosi dipinti e sculture di Ligabue, è difficile estrarre questa brillante morale dalla terribile vita dell’uomo Toni. Anche nella sua forma più accettabile, la società è raramente gentile con lui. Germano è un attore estremamente estroverso che trascorre il suo tempo meditando nella psiche repressa dell’artista fino a quando non può esplodere in un violento dolore o rabbia, e queste sono le scene che caratterizzano il suo ritratto dell’artista ai margini. Nella frenesia della sua angoscia, le sue urla e il suo tormento interiore sono difficili da guardare, in particolare nel primo tempo del film.
Ma ci sono diversi momenti memorabili pieni di tenera emozione: l’inconsolabile reazione di Toni alla morte di una piccola contadina, di cui dipinge il ritratto; la sua travolgente emozione quando incontra di nuovo a Roma la madre di Marino Mazzacurati; la sua visione sul letto di morte di sua madre che lo chiamava. Ciò che si sente maggiormente mancante è una forte struttura narrativa che trasformi questi momenti in un personaggio significativo. Così com’è, Germano rivela molto sul suo modo straordinario di proiettarsi negli animali che dipinge, ma l’essenza di Toni rimane in qualche modo nascosta.
Gran parte del feeling in questo film d’atmosfera è creato dalla cinematografia del DoP Matteo Cocco, che mescola le bellezze naturali delle regioni dell’Alto Adige e Reggio Emilia con le scenografiche fattorie collettive e l’elegante architettura tipica della zona. Il design dei costumi e il trucco aiutano a trasformare Germano in un doppio virtuale di Ligabue.
Il regista ha deciso di non raccontarci una storia, ma di rappresentare uno stato dell’essere, di farci sentire le emozioni intense e profonde che Ligabue ha vissuto e trasferito sulle sue opere, come se le scene stesse fossero le opere o la preparazione emotiva alle opere dell’artista. Questo ci mette di fronte al suo mondo e all’abisso del suo linguaggio, che la scelta poetica del linguaggio amplifica, ma ci lascia un po’ sgomenti, perché non abbiamo un vero e proprio filo narrativo da seguire, come se il personaggio stesso fosse frammentato in tutti i pezzi della sua stessa vita.
Da vedere voto 8